giovedì 8 ottobre 2015

Meravigliarsi


“Il thaumazein, la meraviglia di fronte a ciò che è così come è, consiste per Platone in un pathos, in qualcosa che viene subito e che, in quanto tale, si distingue nettamente dal doxazein, dal formarsi attivamente un’opinione su qualcosa. La meraviglia che l’uomo patisce, o che lo colpisce, non può tradursi in parole perché è troppo smisurata per le parole. Platone vi si dev’essere imbattuto per la prima volta in occasione di quegli stati traumatici di Socrate, di cui abbiamo frequenti resoconti, durante i quali il filosofo, come preso da un raptus, sarebbe improvvisamente piombato nella più completa immobilità, fissando nel vuoto senza vedere o sentire nulla. Per Platone e Aristotele divenne assiomatico che questa meraviglia muta  fosse l’origine della filosofia. Ed è precisamente questo riferimento  a un’esperienza concreta e unica a contraddistinguere la scuola socratica rispetto alle filosofie occidentali.

(...) Nel momento in cui lo stato non discorsivo della meraviglia si traduce in parole, non è che la filosofia cominci a fare affermazioni ma comincia a formulare in variazioni infinite quelle che si chiamano domande ultime - che cos’è l’essere? chi è l’uomo? che significato ha la vita? ecc. -, accomunate dal fatto di non poter aver risposte scientifiche.
(...) Formulando domande ultime, domande senza risposta, l’uomo si costituisce come essere interrogante. Questa è la ragione per cui la scienza  che pone domande a cui si può dare risposta, deve la propria origine alla filosofia e ha bisogno di restarle legata. Se l’uomo dovesse perdere la capacità di formulare domande ultime, perderebbe anche la capacità di formulare domande a cui si può dare risposta. Non sarebbe più un essere interrogante, e questa sarebbe non solo la fine della filosofia, ma anche della scienza.
Lo shock filosofico di cui Palatone ci parla pervade tutte le grandi filosofie e separa il filosofo che lo subisce  da coloro con i quali vive. Diversamente da quel che Platone suggeriva, la differenza tra i filosofi, che sono pochi, e la moltitudine non sta nel fatto che i molti non sanno nulla del pathos della meraviglia, ma sta nel fatto che essi rifiutano di subirlo. Questo rifiuto è espresso nel doxazein, nel farsi delle opinioni su materie in cui non è possibile avere opinioni, perché i criteri normalmente accettati dal senso comune non possono esservi applicati. La doxa, in altre parole, poté divenire l’opposto della verità perché il doxazein è davvero l’opposto del thaumazein. Avere opinioni non va affatto bene quando si tratta di cose che possiamo cogliere solo nella meraviglia muta per ciò che è.”
Hannah Arendt, Socrate. Portrait of Hannah Arendt, 1944. By Fred Stein Archive/Archive Photos/Getty

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