martedì 4 agosto 2015

"La materia è madre"

Un ulivo millenario lungo il Sile, le sue radici disegnano un sole e il tronco cavo allude al passaggio dall’Inferno al Purgatorio. È la scultura alla quale Romano Abate, sta lavorando da tre anni e che rappresenterà il fulcro attorno al quale a novembre si svolgeranno al Museo di Santa Caterina di Treviso le celebrazioni dei 750 anni dalla nascita di Dante: mostre di pittura e una serie di concerti a cura di Pietro Fabris. 
Abate nasce a Cividale del Friuli nel 1941. Una vocazione precoce la sua, che lo raggiunge sul greto del Natisone, quando da bambino esplora con gli amici quel territorio abitato da leggende e da strane “facce” di legni che spuntano fra le pietre. Da grande frequenta lo Iuav di Scarpa e Zevi a Venezia, si diploma maestro d’arte all’istituto di Nove di Bassano del Grappa e si trasferisce in provincia di Treviso nel 1963.
“Questo ulivo l’ho incontrato un giorno di primavera - racconta - percorrevo una strada secondaria dalle parti di Castelfranco e l’ho visto spuntare da un vivaio. Il legno è il mio Suggeritore, una materia che per me è madre, che con le sue forme mi conduce verso percorsi che non conosco prima. Le azioni seguono un flusso naturale, come quando vedete armeggiare un meccanico intorno al motore: voi non sapete che cosa stia facendo, ma il suo fare è incessante.” 
In questo albero suggestivo, che sembra l’antro di una caverna, la radice che lo attraversa orizzontalmente rappresenta Minosse, nel poema il giudice infernale che ascolta le confessioni delle anime dannate e poi indica a quale cerchio sono destinate con il numero di giri di coda intorno al loro corpo. 
“Il tronco cavo richiama il passaggio dal centro della terra alla spiaggia del Purgatorio, mentre alcune mele di bronzo aggiunte ai rami spezzati simboleggiano il Paradiso.” 
Abate si è ispirato alla Divina Commedia anche per altre opere, come la barca del traghettatore Caronte, che in riva al Sile è in buona compagnia: “Qui vicino, sull’altra sponda - spiega lo scultore - si trovano ancora diversi burci abbandonati, le imbarcazioni usate negli anni Quaranta per i trasporti di legna e altri materiali, e citati da Dante nel canto XVII dell’Inferno, nel quale l’anfibio Gerione sta ‘Come tal volta stanno a riva i burchi, che parte sono in acqua e parte in terra’.”  (nella foto Romano Abate)

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