mercoledì 29 febbraio 2012

Mele

Akane, Annurca, Arlet, Arkansas black, Ashmead's kernel, Braeburn, Calville blanc d'hiver, Cotogna, Elstar, Eves's  delight, Fortune, Fuji, Gala, Golden supreme, Golden russet, Hidden rose, Honeycrisp, Jonagold, Macoun, Newtown pippin, Northern spy,  Ny 428, Renetta, Rhode island greening, Rubinette, Senshu, Smith, Spartan, Stark Delicious, Suncrisp, Winesap, Winter banana.

lunedì 27 febbraio 2012

Ricordi tatuati

Ricordi tatuati
sulle pareti del tempo
coriandoli digitali
pagine con folle mascherate
e nell’odore di benzina
scarpe per camminare nei sogni

sabato 25 febbraio 2012

La vongola filippina: una “strana” invasione

Del titolo è questo miscuglio tra una conchiglia e una domestica che ti fa venir voglia di capire. Anche perché le vongole le associ agli spaghetti un po’ meno ai filippini. E poi non ci sarà di mezzo il solito razzismo? Allora l’incontro si intitolava così: “L’arrivo della vongola filippina nella Laguna di Venezia: una questione di adattamento biologico e sociale”. In che senso, c’è stata un’invasione di pescatori filippini, di vongole filippine e non ce ne siamo accorti? E poi che cos’ hanno di diverso le vongole filippine dalle nostre? Il permesso di soggiorno c’entra qualcosa? Basta  leggere un po’ meglio la locandina della conferenza organizzata dal Dipartimento di studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea, relatrice Florence Menez. No, non è spagnola, è un’etnologa  bretone, di Brest, che vive a Parigi e lavora alla Bibliothèque Nationale de France. Già, ma che c’entra con Venezia? Merito dell’Erasmus: nel 1999, seguendo le indicazioni del suo professore Sergio Dalla Bernardina, di origine veneta, condusse una ricerca sull’invasione-sparizione delle alghe, fenomeno risalente agli anni Ottanta: qualcuno si ricorda fu addirittura chiuso l’aeroporto di Venezia a causa di nuvole di chironomidi, piccoli insetti neri simili a mosche, altri giurano che le alghe annerivano l’argento e che i chironomidi schiacciati tra le porte dei vaporetti producessero un olio lubrificante.  C’è chi non esclude che fosse l’epilogo di un attacco chimico. Florence in quel periodo s’imbatté in un’altra storia interessante: l’invasione della vongola filippina. Così, dopo il saggio  sulla sparizione delle alghe La disparition des algues dans la lagune de Venise. Recit mythique et histoire (presque) vraie, dal 2009 svolge una ricerca di dottorato sul tema, scandagliando verità e pseudoverità di un fenomeno con diverse implicazioni sociali ed economiche. Basti pensare che in un decennio il raccolto annuo di vongole è passato da 4 a 40.000 tonnellate. Incontro Florence Menez in un bar veneziano con pochi tavolini e grandi vetrate. Cominciamo dal nome vongola filippina che deriva dalla definizione scientifica tapes philippinarum. E da un esperimento che è alla origine del fenomeno. Nel 1983 l’ente Cospav per rendere più redditizia la pesca, che stava attraversando un momento di crisi, avviò l’ allevamento di tapes philippinarum vicino a Chioggia, come fatto in seguito da altri biologi a Scardovari, a Goro e a Marano Lagunare. Una prassi che non violava la legge in quanto all’epoca non era vietato importare specie alloctone. Sennoché l’esperimento sfuggì di mano ai suoi promotori perché il mollusco trovò un habitat estremamente favorevole alla sua diffusione. Nacquero così le prime voci sul fenomeno: secondo alcuni la filippina sarebbe arrivata in Laguna trasportata dalle ancore delle grandi navi mercantili e da crociera, nascosta come un’immigrato clandestino sul fondo delle navi, secondo altri sarebbe stata lanciata da un fantomatico elicottero. In ogni caso sulla vongola filippina gli affari fiorirono. Nel 2000 si stimava che un pescatore riuscisse a guadagnare fino a 400.000 euro all’anno. Dal punto di vista sociale si creò un conflitto: “Un fenomeno in cui non si può distinguere fra pescatori di nuova generazione abusivi e pescatori tradizionali con le carte in regola – spiega Menez. “Buoni” e “cattivi” si mescolano: alcuni nuovi pescatori si sono messi in regola, altri no; d’altra parte, pescatori con una tradizione alle spalle  si sono comportati  in modo irregolare raccogliendo le vongole di notte o al di fuori dell’area di concessione. La corsa all’oro ha coinvolto intere generazioni di giovani che invece di dedicarsi agli studi si sono gettati nel business della vongola. Al mercato e al ristorante però non chiedete della vongola filippina, suggerisce Florence Menez: “Non si chiama più così: le hanno cambiato nome perché una cosa buona da mangiare deve essere prima di tutto buona da pensare, come teorizzò l’antropologo Lévi Strauss e come sa bene la pubblicità commerciale. Se chiamo un vino Rosso veronese, per esempio, avrà più appeal di un semplice Merlot. Il nome comune della vongola filippina è vongola verace, per quello scientifico si è optato per il meno compromettente tapes semi-decussatus che la distingue dal tapes decussatus, la vongola autoctona ormai quasi introvabile.”  Infine, un ultimo interrogativo, ma da dove vengono le vongole “veraci” che compriamo al mercato o che mangiamo al ristorante? C’è l’imbarazzo della scelta:  allevamenti concessi dal Magistrato alle Acque, oppure zone precluse o inquinate, dal fango rosso vicino all’arco di Porto Marghera, come raccontato  ne la La fabbrica dei veleni di Felice Casson o in  Porto Marghera e la Laguna di Venezia di Fabrizio Fabbri che scrive: “Ogni vongola (raccolta a Forte Marghera ndr) portava con sé un coktail di composti che, una volta ingeriti ed entrati in circolo nel corpo umano, potevano provocare ingenti danni alla salute.” Può anche succedere che le vongole delle zone industriali siano “bonificate” prima della vendita in allevamenti “safe”. Insomma meglio non saperlo, meglio ripetersi che sono veraci come insegna Lévi Strauss. (la foto è tratta dal sito www.ilmaredamare.com)

martedì 21 febbraio 2012

A colpi d'ascia

Viaggiare da solo, quale che sia la mia destinazione, mi piace più di ogni altra cosa, così come mi piace moltissimo camminare da solo. Ma la gioia più grande era sapere che alla fine del mio viaggio alla volta di Kilb avrei trovato Joana nella piccola casa paterna a piano terra. Le mie gite a Kilb le facevo sempre in primavera e in autunno, mai in estate e in inverno. Le ragazze di campagna non appena sono in grado di pensare, anelano a Vienna, alla grande città, pensavo nella bergère, questo fino ad oggi non è cambiato, e Joana doveva andare a Vienna perché voleva a tutti i costi  fare carriera. Joana moriva dalla voglia di prendere, una volta per tutte, per così dire, un treno per Vienna. Ma Vienna le ha portato più sfortuna che fortuna, pensavo nella bergère. I giovani si mettono in marcia verso la grande città e proprio nel luogo in cui avevano riposto tutte le loro speranze colano a picco nel vero senso della parola, perché la società che incontrano è disgustosa e brutale e perché la loro stessa natura non è adatta perlopiù ad affrontare  quella grande città divoratrice di uomini che è Vienna.
Thomas Bernhard, A colpi d’ascia - Una irritazione, traduzione di Agnese Grieco e Renata Colorni, Adelphi, Milano, 1990

Am liebsten reise ich, gleich wohin, allein, wie ich auch am liebsten allein gehe. Aber am Ziel meiner Reise nach Kilb die Joana in ihrem kleinen, ebenerdigen Elternhaus zu wissen, hatte mir immer die größte Freude gemacht. Meine Kilbfahrten unternahm ich im Frühjahr und im Herbst, niemals im Sommer, niemals im Winter. Die Landmädchen streben schon, sobald sie denken können, nach Wien, in die Hauptstadt, dachte ich auf dem Ohrensessel, das hat sich bis heute nicht geändert, die Joana mußte nach Wien, denn sie wollte unter allen Umständen Karriere machen. Sie hatte es nicht erwarten können, eines Tages für immer sozusagen den Zug nach Wien zu besteigen. Aber Wien hat ihr mehr Unglück als Glück gebracht, dachte ich auf dem Ohrensessel. Die jungen Leute brechen auf in die Hauptstadt und verunglücken im wahrsten Sinne des Wortes da, wo sie sich alles erhofft hatten, an der Widerwärtigkeit der Gesellschaft, an der Rücksichtslosigkeit der Gesellschaft, an der eigenen Natur, die der menschenfressenden Großstadt Wien meistens nicht gewachsen ist.
Thomas Bernhard, Holzfällen - Eine Erregung, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1984
per l'incontro Errare, Casa delle Parole, Venezia, 14 febbraio 2012)

martedì 14 febbraio 2012

Adné sadé

Non lontano da me, nell'altipiano, vidi un gruppo di strane persone che confabulavano guardandomi meravigliate.
Ma come è stato possibile che questo morto sia giunto fino a noi? Forse un mostro cattivo ce l'ha portato qua dall'inferno per prenderci in giro.
Ma forse è vivo? Mi pareva che avesse aperto gli occhi.
Vivo quest'uomo? Ah ah ah? Ha aperto gli occhi ? No signor edàn di campagna, la tua fantasia ti ha ingannato. Hai mai visto un uomo sradicato che viva sulla terra? Come potrebbe inspirare l'aria dopo aver tagliato il suo cordone ombelicale? Vivo? Ma da dove succhierebbe i suoi umori vitali senza aver radicato in terra il suo ombelico? Soltanto gli adné sadé come noi, connessi al terreno, possono sopravvivere sulla terra.
Ma chi ti dice che non possano vivere anche uomini deconnessi, come succede per gli animali selvatici o per gli uccelli del cielo?
Esseri umani deconnessi, ah ah, se pensi che ciò sia possibile, vieni che tagliamo anche il tuo cordone ombelicale e vedrai come è piacevole e bella la vita degli umani deconnessi!
Vi fu un'esplosione di risate per tutto l'altipiano.
(Da un racconto di Yehuda Leib Benyamin Katzenelson(1846-1917) tradotto da Amos Luzzatto per l'incontro Errare, Casa delle Parole, Venezia, 14 febbraio 2012)

mercoledì 8 febbraio 2012

Una prefazione

Mi sono sempre piaciuti i negozi pieni di tante cose, quelli che in vetrina hanno il cavallo d’ottone consumato, le poesie di Baudelaire, una collana di perle, gli scacchi in palissandro, l’Eberhard con il vetro segnato, il necessaire con il pennello in osso, i bicchierini di Murano con l’orlo dorato, le cartoline degli anni Trenta, la zanna d’elefante, la foto di un derviscio rotante, il portasigarette in argento, una broche floreale. Questo libro assomiglia a uno di quei negozi, o a uno di quei siti come Youtube o Amazon, si entra per curiosare qui e là.
Come quando accolti nella casa di un vecchio amico che non vedevamo da tempo, e in attesa che sia pronta la cena, ci soffermiamo nel salotto davanti alla libreria e scorriamo i titoli mentre parliamo d’altro, poi ad un certo punto attratti volume dicendo Ah bello ce l’ho anch’io, oppure Non l’ho mai letto, mi sembra interessante.
È anche un buffet, quelli con le tartine di tanti colori che non sai quale scegliere, e allora mordicchi a caso sperando d’indovinare.
T’immagino mentre sfogli queste pagine alla ricerca di un’idea, di una parola, di uno spunto, per leggere e per scrivere a tua volta qualcosa, o per distrarti mentre sei in coda ad un semaforo o in posta, o, infine, per trovare una bella frase e dedicarla alla persona che ami.
Certo avrei potuto, forse, realizzare un negozio specializzato, attenermi ad una trama e preparare dei semplici tramezzini, ma davvero non ci ho pensato e ora non c’è tempo per qualcosa di diverso.

sabato 4 febbraio 2012

Querce

La diversità degli alberi creava uno spettacolo che mutava continuamente. I faggi, dalla scorza chiara e liscia, confondevano le loro corone; i frassini curvavano mollemente i loro rami grigioazzurro; nelle ceppaie dei carpini si drizzavano gli agrifogli simili al bronzo; poi una fila di esili betulle inclinate in pose elegiache; e i pini simmetrici come canne d'organo, ondeggiando continuamente  pareva che cantassero. C'erano  querce rugose, enormi, che si torcevano  come se volessero strapparsi dal terreno, si stringevano le une alle altre, e, immobili sui tronchi simili a torsi, si lanciavano con le braccia nude richiami disperati, minacce furibonde, come un gruppo di Titani immobilizzati nella loro collera.
Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, trad. di Lalla Romano