domenica 27 novembre 2011

Stupidità

La stupidità è talmente diffusa tra gli uomini che uno stupido trova sempre uno più stupido di lui pronto a seguirlo.
Voltaire

sabato 26 novembre 2011

Il monaco "mucca"

Disposto sul grande leggio centrale, non possiede né indici, né capitoli, né paragrafi. La lettura procede, si potrebbe dire, a vista, fruendo come bussola delle splendide figure miniate. Non si tratta per il monaco di tradurre il testo in sintesi concettuali, quanto invece di incorporarlo nella memoria e di riprodurlo nei vari casi della vita per motti e citazioni. E il monaco stesso è definito, non a caso, figurativamente una mucca, perché tutto il giorno, mentre fa il burro, accudisce gli animali, coltiva l'orto e il giardino, continuamente rumina borbottando il libro sacro. Non si tratta per lui di leggerlo, quanto di incorporarlo, di "mangiarlo".
Carlo Sini in Al di là del testo, riprendendo Nella vigna del testo di Ivan Illich.

giovedì 24 novembre 2011

Solitudine

Trascorriamo la maggior parte del tempo con noi stessi ma viviamo in mezzo agli altri. La solitudine è una terra di mezzo tra il nostro modo di vedere le cose e il mondo, tra il segno e il sogno, e anche, come scrive José Saramago nell'Anno della morte di Ricardo Reis, una incomprensione in noi stessi: "La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo alla pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice." Una distanza che per Jankélévitch (La menzogna e il malinteso) nasce dalla menzogna: "La vera punizione dei ciarlatani è la perdita della loro ipseità: dal momento che essi non sono né ciò che sono e che sepplliscono nel silenzio, né ciò che gli altri credono che essi siano e che in realtà sono solo per truffa, bisogna concludere che essi non sono più niente. Sono delle anime in pena, delle coscienze spettrali (...)." La solitudine, il deserto, da un'altra prospettiva, è l'unica via per conoscere Dio. Scrive Giovanni della Croce nella Salita al Monte Carmelo: "Devi passare per dove non sai; per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove non hai niente; per giungere a dove non sei, devi passare per dove ora non sei; per giungere interamente al tutto, devi rinnegarti totalmente in tutto."
E il linguaggio, probabilmente, gioca un ruolo fondamentale nel regolare le distanze, sebbene il vero significato delle parole sia a volte come un albero lontano e irraggiungibile nella pianura, o un fantasma che si mostri e nello stesso tempo si dissolva.

venerdì 18 novembre 2011

Valvasor

Il treno partì da Bologna ma non erano scesi tutti: Johann Weichard Valvasor, morto nel 1693 in Carniola, era rimasto a bordo in una conversazione nata per caso. Suo nonno era un commerciante di Telgate, vicino Bergamo, sua madre una Rauber, famiglia di personaggi illustri. Valvasor era un uomo dai molteplici interessi: misurava le montagne, studiava i laghi che spariscono, costruiva tunnel; nel suo castello c'erano una grande tipografia e una biblioteca con migliaia di volumi. E scrisse dei libri: voleva fare conoscere le meraviglie della Carniola al mondo. Nel 1689 a Norimberga pubblicò Die Ehre des Herzogthums Crain (La gloria del ducato di Carniola) : 3532 pagine in quattro volumi e 500 illustrazioni, la maggior parte disegnate da lui. Nella scrittura invece lo aiutò Erasmus Francisci di Lubecca, un nobile decaduto che si guadagnava da vivere come scrivano e correttore di bozze. Erasmus intervenne creativamente aggiungendo qua e là le sue considerazioni, frasi di di autori famosi, riflessioni misticheggianti. Un fiume testuale nel quale affiorano anche numerose povedke, i raccontini popolari che Valvasor raccoglieva insieme ai dati storici e geografici della sua regione, per ogni villaggio, bosco, fiume, montagna, non mancavano mai fiabe, leggende, aneddoti curiosi. Scrive Maria Bidovec, docente di Letteratura e civiltà slovena all'Università di Udine, nel suo Johann Weichard Valvasor: polimata, nonché avvincente narratore nella Carniola del Seicento: "L'originale commistione, operata solo da Valvasor, di racconti di origine popolare, aneddoti, osservazioni frutto di esperienza personale nonché di storie tratte da letture e studi d'archivio non potè venire apprezzata da quello stesso popolo semplice che ne era il protagonista, poiché esso non era in grado di leggerla; né poté essere sufficientemente conosciuta e ammirata dal potenziale enorme pubblico dei lettori europei di lingua tedesca, confinata come rimase all'interno delle frontiere di quella periferica provincia dell'Impero, ancora troppo chiusa in sé e culturalmente immatura. (...) Ciò che egli era stato capace di costruire nel campo della narrazione di storie curiose e fantastiche rimase apparentemente senza eco, ma in realtà costituì una pietra miliare."

domenica 13 novembre 2011

Gatti

Io mica lo volevo un gatto - figurarsi due. Non sono tipo da farmi fare fesso io. Non se ne parla nemmeno, davvero. I gatti stanno bene per strada, i gatti vanno bene sui tetti, miagolanti e vagabondi. (...) "Libri rosicchiati. Vasi rovesciati. Lucertole trascinate in casa. Piante divorate. Fortuna che sono un tipo che ogni tanto si fa fare fesso - e si può rischiare molto, ma si può anche incrociare la possibilità di perdere un po' della nostra stupidità. Perché succede di scambiare la propria stupidità per saggezza, saggezza un po' meschina, di piccola virtù, che non ama sorprendersi - nello spavento che proviamo nel dover cedere a un altro essere una parte della nostra esistenza. Però ne vale la pena. Soprattutto quando intorno a te tutti ti spiegano che non ne vale la pena. (...) Un gatto non è mai dove dovrebbe stare. Un gatto non è mai a disposizione. Un gatto non è mai disposto a obbedire. "Refusez d'obéir", come il luminoso disertore di Boris Vian.
Stefano Di Michele, Borges e Camilla. Gatti, amori e altri disastri, ed. Il Notes Magico

giovedì 10 novembre 2011

Luna e l'altra

A volte la luna è piena,
ubriaca di stelle,
e si tinge di bianco,
ma anche di rosso!
A volte si fa un quartino
Altre volte è solo la metà del cielo,
… e l’altra?
L’altra è in piena crisi lunatica,
non si mostra, è insicura,
… ha una fottuta paura.
… o forse …
... ad altre volte mostra la sua faccia scura!
Loris Tessari

lunedì 7 novembre 2011

Il tacere delle Sirene

A dimostrazione del fatto che anche mezzi inadeguati e persino puerili possono aiutare a salvarci.
Per difendersi dal canto delle Sirene, Odisseo si tappò le orecchie con la cera e si fece incatenare all’albero maestro. Una cosa simile avrebbero potuto farla da tempo tutti i viaggiatori, tranne quelli che le Sirene avessero sedotti già da lontano, ma era noto in tutto il mondo che ciò non li avrebbe aiutati in nessun modo. Il canto delle Sirene trapassava qualsiasi cosa, e l’ardore dei sedotti spezzava ben più di catene e alberi. A questo però Odisseo non pensò, sebbene forse ne avesse sentito parlare. Ebbe piena fiducia in quella manciata di cera e nel fascio di catene, e ingenuamente felice dei suoi deboli mezzi andò incontro alle Sirene. Ma le Sirene hanno un’arma ancora più spaventosa del canto, il loro tacere. Non è capitato, ma si può immaginare che qualcuno si sia salvato dal loro canto, sicuramente non dal loro tacere. Al sentimento di averle sconfitte con le proprie forze, alla conseguente totale presunzione, nessun mortale può opporsi. Ed effettivamente le potenti voci non cantarono al suo passaggio, vuoi perché credessero che questo avversario potesse essere conquistato solo dal tacere, vuoi perché la vista di quell’assoluta felicità nel volto di Odisseo che pensava solo alla cera e alle catene, esse si dimenticarono del canto. Odisseo, se così possiamo dire, non sentì il loro tacere, egli credeva che cantassero, e che solo lui fosse al sicuro dall’udirle. Di sfuggita vide subito il movimento dei loro colli, il respiro profondo, gli occhi pieni di lacrime, le bocche socchiuse. Credette che tutto ciò appartenesse alle melodie che risuonavano mute intorno a lui. Presto tutto ciò scomparve dal suo sguardo rivolto lontano; le Sirene si dissolsero davanti a quella prova di carattere. Così, proprio quando era loro più vicino, non ne seppe più nulla. Loro, più belle che mai, si allungarono e si voltarono, lasciarono fluttuare i loro spaventosi capelli nel vento e si aggrapparono con gli artigli agli scogli. Non volevano più sedurre, ma solo afferrare il più a lungo possibile il riflesso dei grandi occhi di Odisseo. Se le Sirene avessero una coscienza, quella volta sarebbero morte. Ma sopravvissero. Odisseo era riuscito a sfuggire loro. Infine, si riporta qui una piccola aggiunta a questa storia. Si dice che Odisseo fosse così astuto, una tale volpe, che le stesse Parche non avevano il potere di penetrare la sua mente. Forse egli, sebbene il fatto non sia comprensibile dalla ragione umana, ha davvero intuito che le Sirene tacevano, e ha usato la finzione come uno scudo frapposto fra sé e loro, fra sé e gli dei.
Franz Kafka, Das Scweigen der Sirenen, traduzione di M.A. Orefice

venerdì 4 novembre 2011

Wittgenstein

Alcuni appunti dall'incontro, svoltosi oggi alla libreria Canova di Treviso, con il professor Luigi Perissinotto, uno dei massimi esperti italiani di Wittgenstein.
Le ultime parole di Wittgenstein, dette alla moglie del dottore prima di perdere conoscenza, sono state: "Dica loro che ho avuto una vita meravigliosa".
"Nel Tractatus la filosofia non è una teoria, una dottrina, è un'attività."
La proposizione più citata è la numero 7:"Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere."
Essa sembra in contraddizione con la 6.54: "Le mie proposizioni sono chiarificazioni le quali illuminano in questo senso: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è asceso per esse - su esse - oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v'è salito.) Egli deve superare queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo."
"Dal punto di vista etico ognuno deve trovare la propria esemplarità nella vita, fare il proprio mestiere nel miglior modo possibile. Tutto è importante tranne il tempo e i soldi."
"Filosofo è colui che non appartiene a nessuna comunità di pensiero."
"Il lavoro filosofico è propriamente - come spesso in architettura - piuttosto un lavoro su sé stessi. Sul proprio modo di vedere. Su come si vedono le cose. (E su che cosa si pretende da esse)."
"Tutto il senso del mio libro è un senso etico."
"In una poesia molto amata da Wittgenstein un crociato prima di partire per la guerra pianta un piccolo alberello nel suo giardino. Quando diventa vecchio si siede in giardino all'ombra della pianta che negli anni è cresciuta. Proprio quando non si cerca di esprimere l'inesprimibile esso si mostra."
La proposizione 6.44 del Tractatus "Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è" distingue fra il "come" proprio della scienza" e il "che" proprio del mistico.
6.52 "Noi sentiamo che anche qualora tutte le possibili domande scientifiche avessero avuto risposta, i problemi della vita non sarebbero stati ancora neppure toccati. Certo, allora non resta più domanda alcuna, e questa appunto è la risposta."
Secondo Perissinotto e molti altri la filosofia di Wittgenstein non rimanderebbe a cose indicibili o indefinibili attraverso il linguaggio; altri studiosi pensano che invece sarebbe proprio questo il senso profondo, "mistico" della sua filosofia. Se ci dovessimo attenere al dicibile secondo Wittgenstein (nell'interpretazione più restrittiva) i ragionamenti intorno alle parole Bene, Male, Libertà, Giustizia, Carità, Amore, Etica, sarebbero insensati. Il che appare a sua volta un po'insensato e dogmatico. Quando mancano le parole è forse perché ci sono alcune esperienze, sensazioni, stati d'animo, intuizioni, per le quali le parole non bastano.

Immersi nell'anima


Guardare le cose da un altro punto di vista è sempre un'avventura sorprendente. Giulio Giorello in un articolo dedicato alla scomparsa dello psicanalista James Hillmann rovescia il tradizionale connubio corpo e anima: "Ricordate Stephen Dedalus, il Telemaco dell'Ulisse di Joyce, che solitario sulla spiaggia della baia di Dublino medita sui confini dell'anima? Fin dove essa si estende? Forse, fino all'ultima stella che si scorge all'orizzonte. Dunque, l'anima non è imprigionata dentro il corpo, come pretendeva molta filosofia, da Platone a Cartesio - ma è il nostro corpo che fluttua nell'anima."

martedì 1 novembre 2011

La più nobile bellezza

“La più nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti (una tale bellezza suscita facilmente nausea), ma che si insinua lentamente, che quasi inavvertitamente si porta via con sé e che un giorno ci si ritrova davanti in sogno, ma che alla fine, dopo aver a lungo con modestia giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia. Di che abbiamo nostalgia alla luce della bellezza? Dell’essere belli: ci immaginiamo che molta felicità debba andare a ciò congiunta. Ma questo è un errore”.
Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, parte IV, Dell’anima degli artisti e degli scrittori. Negli appunti preparatori il paragrafo termina con la frase: “Di questo tipo è la bellezza del golfo di Napoli visto durante il crepuscolo”.