lunedì 31 ottobre 2011

Schiaffi

Caro amico,
vorrei raccontarle due piccole cose accadute in questi giorni. Scena prima. Passeggiavo per una via del centro quando ad un tratto una mamma ha cominciato schiaffeggiare con violenza suo figlio, un bambino di circa sette anni. La strada era piena di persone che hanno proseguito indifferenti, qualcuno si è fermato a guardare. Mi sono avvicinato a questa pazza e le ho detto: Non si picchiano i bambini. Lei con la faccia pietrificata dalla rabbia ha risposto: Perché lei non sa che cosa ha fatto. Poi l'ha trascinato via che piangeva e singhiozzava. Più in là un uomo aspettava, forse il padre.
Scena seconda. Leggevo il giornale seduto su una panchina nel grande piazzale del castello. Due colombe bianche giocavano a rincorrersi sulle foglie gialle. A volte si avvicinavano come due amici che si stanno raccontando le ultime novità. La grande macchina nera arriva veloce e poi si ferma. L'uomo scende, chiude la porta e si avvia. Incurante. Una colomba è morta, l'altra le gira intorno, sembra chiedere: Perché non parli più con me. Dico all'uomo: Ha visto che l'ha ammazzata? Non me ne sono accorto. Se fosse andato più piano l'avrebbe vista. Andavo piano, forse è la macchina che è fa rumore e allora può sembrare. Noi e le nostre parole non possono nulla contro la stupidità e la forza: due agenti causali inseparabili. La mamma degli schiaffi e l'uomo che schiaccia le colombe, o qualcun altro, saranno diventati meno stupidi, meno violenti dopo quel che è successo? Sarebbe questo il senso? E se dicessimo che alcuni esseri umani sono meno evoluti e sensibili di altri? No, non possiamo dirlo perché questo ragionamento porta dritto ai campi di concentramento. Possiamo a nostra volta essere violenti con gli stupidi e i violenti? No, non possiamo. Allora, forse, caro amico, non ci resta che versare una lacrima, se ne siamo capaci, se davvero io e lei siamo capaci di essere molto diversi da loro.
p.s. Dopo una settimana sono tornato nel grande piazzale, la colomba bianca era sola e sembrava ancora cercare l'altra.
(la foto è di Florence Ménez )

domenica 30 ottobre 2011

Big Bang, pianeta Renzi verso Palazzo Chigi







Una sinistra così non s’era mai vista, giovane, piena d’idee, dinamica, aperta al dialogo. È la sinistra della Leopolda, sono quelli che hanno voglia di un big bang, di una rinascita, di un nuovo modo di far politica, sono quelli che hanno voglia ancora di sognare, che non smettono di crederci e che da tempo non ascoltano più i brontosauri, facce che da vent’anni ripetono le stesse cose, facce che quando si tratta di abolire i privilegi votano compatte contro e tra loro si strizzano sempre l’occhio perché in fondo sono” colleghi”. Alle dieci di sabato mattina non c’è, come ti saresti aspettato, una folla da stadio all’ingresso, ma ci sono gli autisti dell’Atac di Firenze, perché Renzi gli ha chiesto di lavorare un po' di più per lo stesso stipendio, e gli operatori della cooperativa sociale La Civetta che protestano perché ha tagliato del trenta per cento i fondi del sociale.
Dentro, invece, c’è lui, la vera novità politica di questi ultimi vent’anni. La comunicazione è studiata nei minimi dettagli: palco spazioso, sullo sfondo la riproduzione di una libreria, a destra una scrivania con un microfono anni ciqnuanta, tipo quelli di Elvis Presley, portatile Apple color argento in bella vista, iPhone, iPad. In consolle Renzi conferma di aver talento non solo politico: dirige l’incontro con energia, il ritmo è incalzante, speech di cinque minuti, brevi video, spezzoni comici, altri impegnati come quello di Obama in memoria delle vittime di Tucson o il discorso d’addio di Zapatero, lettura di commenti Fb e tweet, arrivano quelli del direttore del Corriere Ferrucccio De Bortoli e di Dario Franceschini che dice Come si fa ad avere paura di Renzi? Il flusso renziano scorre in videostreaming, la colonna sonora dell’evento è la canzone di Jovanotti Il più grande spettacolo dopo il Big Bang, e sulle magliette lo slogan: I dinosauri non si sono estinti da soli. Una macchina della comunicazione perfetta elaborata personalmente dall’inesauribile Renzi in team con l’agenzia Catoni Associati.
Anche gli interventi sono un blend di contributi diversi: politici, imprenditori, artisti, responsabili di progetti sociali e associazioni antimafia. Davide Faraone, sindaco di Palermo, parla delle enormi difficoltà che derivano dalle “imposte” della criminalità organizzata; Maurizio Artale, associazione Padre Nostro di Palermo, sostiene la beatificazione di Don Pino Puglisi; Guido Ghisolfi, a capo di un’industria leader nella produzione di polimeri e poliesteri, vuole una scuola migliore; Filippo Civati interviene senza pathos, della serie “sto a vedere quel che fai e poi deciderò”; divertente e pungente Pif di Mtv: Il vero santo di questo paese è Pio La Torre. Non candidiamo chi ha avuto rapporti con i mafiosi, come successo anche nel Pd. Per Sergio Chiamparino, l’ex sindaco di Torino tenuto in panchina da Bersani, le priorità sono: l’equità sociale, le primarie a porte aperte, una legge elettorale che non privilegi il solito “cerchio magico”. Appoggia il Big Bang ed è a disposizione per un nuovo cammino insieme, ma nello stesso tempio si chiede come troveranno peso in concreto le idee e gli ideali della Leopolda. Il suo intervento è salutato da un interminabile applauso e dall’abbraccio di Renzi. Si prosegue con entusiasmo e ritmo, intanto su Youtube è cliccatissimo l' intervento di Alessandro Baricco di venerdì: Non abbiamo saputo pronunciare la parola meritocrazia, noi non abbiamo mai fatto la prima mossa perché avevamo paura di perdere, voi non abbiate mai questa paura. Ancora ideali, idee, energia. Graziano Del Rio presidente Anci: La vita ha senso solo se noi siamo capaci di un’azione, di innescare qualcosa di nuovo come questo Big Bang. Riccardo Bonacina: Ci sono 3 milioni di italiani che si dedicano al volontariato, 15 milioni che aderiscono al cinque per mille: più che privatizzare bisogna socializzare. Dietro il microfono cromato Renzi è multitasking: risponde alle mail, parla coll’ufficio stampa, segue quello che dicono gli ospiti, presenta il trailer del film Nessuno mi può giudicare. In uno scherzoso dialogo una escort più esperta consiglia a quella meno pratica come comportarsi con i clienti: Se sono di destra tu ridi, hanno bisogno di sentirsi divertenti. Se sono di sinistra tu annuisci perché hanno bisogno di sentirsi intelligenti. È arrivato anche il patron di Technogym: I nostri giovani non sognano più, poi però scivola verso la self promotion vagheggiando un’Italia primo distretto mondiale del wellness. Intorno a l’una il ragionamento filosofico del prodiano Arturo Parisi che riconosce a Renzi il merito di aver saputo pronunciare il pronome “io”, assumendosi in prima persona la responsabilità della sua proposta: È meglio rischiare di sbagliare da soli per avere ragione tutti. Il flusso renziano s’interrompe per il pranzo, e così ci si trova a tavola fra gente simpatica e affamata di confronto. Francesco Minari è un giovane dell’agenzia Catoni Associati, quella che ha organizzato l’evento, e ci racconta della straordinaria esperienza di poter lavorare con il vulcano Renzi. Daniele Chini è un imprenditore edile preparatissimo sulle vicende politiche e con una visione chiara di come si potrebbe cambiare la legislazione del suo settore. Elena lavora nel sociale con passione e competenza ma vive in prima persona il precariato e le difficoltà create dalla scarsità dei finanziamenti. La conversazione è vivace: dalla possibile candidatura di Renzi all’assenza del popolo degli indignados (i centomila pacifici che sfilarono a Roma), dalla mancata nomina nel Pd di un segretario donna alla strategia della tensione. Il tempo passa veloce, si ricomincia con il sindaco di Gubbio e si va avanti fino a sera.
Oggi, tra i tanti che hanno preso la parola, Martina Mondadori, sul ruolo centrale della cultura, lo scrittore Antonio Scurati, su conservazione del passato e innovazione, l'ad di Telecom Italia Media Antonio Campo Dall’Orto, su nativi digitali, e Giorgio Gori di Magnolia, già direttore di Canale 5 e Italia 1: Mi piacerebbe cambiare la Rai, vorrei che non fosse più governata dai partiti ma da un comitato strategico nominato dal Presidente della Repubblica; serve un canone più alto e una netta separazione fra i canali del servizio pubblico e quelli commerciali. Poi arriva Matteo che parla a braccio per un’ora di filato. Il linguaggio è nuovo, soprattutto il tono è nuovo, non quell’aria mesta e supponente di troppa sinistra, ma un giovanotto intelligente, capace, sfrontato, un Pieraccioni della politica che se la gioca, che ha avuto il coraggio di fare la prima mossa e di pensare in grande. Il problema non sono le primarie, Matteo Renzi a mio parere si sta candidando a futuro premier di questo paese. Ha capito che la gente non vota più un simbolo ma un personaggio, e nel suo caso uno con diverse marce in più, ha capito che gli elettori premiano chi ha idee, progetti, sogni. Non gli sfugge, come non sfuggì a Obama e come ha dimostrato in parte la recente primavera araba, che i social network svolgono un ruolo strategico nella formazione del consenso. E, last but not least, può contare su forti gruppi di sostegno di imprenditori e di giornalisti della carta stampata e televisiva che lo considerano a ragione la faccia nuova della politica italiana. Matteo non dimenticarti però degli operatori sociali della Civetta e di tutte le altre cooperative sociali fiorentine e non. Molti di loro sono senza lavoro e di molti dei loro assistiti non è più possibile prendersi cura. Fai un Big Bang anche nel Sociale.

giovedì 27 ottobre 2011

Lettera a Milena

Franz Kafka verso la fine del 1922 scrisse una straordinaria e complessa lettera a Milena , una lettera che affiora qua e là in saggi e convegni perché in poche righe mette in luce i temi centrali della scrittura: a chi sono destinate le parole che scriviamo e che cosa esse possono significare. Nelle prime righe afferma che da molto tempo non le scrive e che per questo non dovrebbe nemmeno scusarsi perché a Milena è noto il suo odio per le lettere: "Tutta la mia infelicità - della quale non intendo lamentarmi, ma della quale voglio solo offrire un'illuminante e generale osservazione - deriva, se si vuole, dalle lettere o dalla possibilità dello scrivere lettere. Gli uomini difficilmente mi hanno ingannato, le lettere sempre, e non quelle degli estranei ma le mie." Kafka prosegue definendo lo scambio epistolare un "Verkehr mit Gespenstern", un rapporto con gli spettri: "Ma come si è potuto pensare che gli uomini possano restare in contatto mediante le lettere. Si può pensare a una persona lontana e si può comprendere una persona vicina, tutto il resto supera le capacità umane. Scrivere lettere significa denudarsi davanti agli spettri, cosa che essi aspettano avidamente. I baci scritti (geschriebene Küsse) non arrivano a destinazione, gli spettri (Gespenstern) se li bevono tutti lungo il tragitto. E attraverso questo ricco nutrimento si moltiplicano in modo inaudito. L'umanità sente il pericolo, e combatte per eliminare il più possibile la spettralità (das Gespentische) tra gli uomini, ha inventato la ferrovia, l'automobile, l'aeroplano per realizzare un incontro naturale e armonioso delle anime. Ma è troppo tardi, sono invenzioni che non fermano la caduta, l'avversario è molto più tranquillo e forte, l'avversario oltre alla posta ha scoperto il telegrafo, il telefono, la radiotelegrafia. Gli spiriti (Geister) non soffriranno la fame, ma noi moriremo." Il pensiero corre ad altre invenzioni "spettrali": i cellulari, la posta elettronica, i social network, non per confermare o smentire l'ipotesi di Kafka, ma per interrogarsi sulle caratteristiche della comunicazione differita.
Sarebbe inoltre interessante arrivare ad una definizione della spettralità. Quando formuliamo ipotesi su come sarà una determinata situazione o come si comporterà una persona dipingiamo quadri fantastici, visioni reali o irreali? In che rapporto sta la spettralità di cui parla Kafka con l'immaginazione? E poi, fino a che punto gli incontri fra le persone sono naturali e armoniosi, fino a che punto le persone si comprendono davvero?
Tornando alla lettera, Kafka si meraviglia che Milena non abbia notato questo fenomeno, se non altro per far comprendere agli "spettri" che sono stati scoperti. Racconta che l'idea di scriverle gli è nata da un'altra lettera che durante la notte aveva pensato di scrivere ad un amico ma che invece aveva ricevuto proprio da lui quella mattina. "Le lettere, e la cosa è collegata con quanto detto sopra - spiega Kafka- sono un magnifico mezzo anti-sonno. E in che condizioni arrivano! Disseccate, vuote ed eccitanti, un attimo di felicità che nasconde un grande dolore. Mentre le leggiamo distrattamente, quel poco di sonno che abbiamo si solleva e vola fuori dalla finestra aperta e a lungo non ritorna." Nella conclusione precisa che le ha scritto con maggior piacere "per quanto si possa scrivere con piacere, cosa che è detta solo per gli avidi spettri che assediano la mia scrivania."

domenica 23 ottobre 2011

Dio il nano

Fin dall'inizio la festa stentava a decollare e Dio il nano si mise a fare ogni genere di acrobazie perché gli ospiti non se ne andassero lasciandolo solo. Prese tre palline e le fece volteggiare in aria eseguendo una serie di numeri incredibili, uno dopo l'altro. Le persone che già erano vicine alla porta si tolsero i cappotti e si sedettero a guardare Dio il nano che dava il meglio di sé. Era passato da tre a quattro palline. Le lanciava in aria tracciando parabole perfette, afferrandole dietro la schiena o fra le gambe. Introdusse poi una quinta pallina e il pubblico trattenne il respiro Ma dio il nano non si fermò lì. Ne aggiunse un'altra, e poi altre cento, un miliardo. Riuscì a far volteggiare in aria tre miliardi di palline a occhi chiusi, senza farne cadere a terra neppure una. E poi venti milioni di trilioni di palline, tenendo in equilibrio sulla fronte un bicchiere di birra pieno fino all'orlo senza versarne neanche una goccia. E tutti gli ospiti fanfaroni, che non facevano che dire "Beh, non ci vuole poi molto, questo lo so fare anch'io", oppure: "Una volta, a Las Vegas, ho visto un negro che si sarebbe pappato questo tappetto a colazione", dovettero ammettere che dio il nano era davvero qualcosa di speciale. Alla fine tutti se ne andarono soddisfatti: gli ospiti, per via dello spettacolo fanatstico, noi, perché in questo modo Dio il nano aveva creato l'universo, e lui, perché non doveva più rimanere solo.
Etgar Keret, La notte in cui morirono gli autobus

sabato 22 ottobre 2011

Fantasmi

I fantasmi sono nei ricordi, nei sogni, nelle favole, ma anche in tutto quello che speriamo possano essere le persone. Sono anche le persone che immaginiamo di incontrare senza poi incontrarle mai lungo il nostro cammino.

venerdì 21 ottobre 2011

Venediger Kleist Tage

Palazzo Cosulich 25 ottobre - 10.00 h Bettina Faber (Venezia): Note introduttive/Begrüßung und Einführung, 10.30 h Anna Maria Carpi (Venezia): Gli aneddoti di Kleist:con o senza morale? 11.15 h Walter Busch (Verona): Der Brief als Medium der Präfiguration psychologischer und poetologischer Strategien. Close-reading einiger Briefe Heinrich von Kleists 2.00 h Pausa caffè/Kaffeepause 12.15 h Milena Massalongo (Verona): Il saggio sulle marionette di Kleist, o del calcolo dell’incalcolabile 15.00 h Elmar Locher (Verona): Die Zirkulation des Geldes und die Zirkulation der Zeichen. Adam Müllers Geld- theorie und Heinrich von Kleists „Der Griffel Gottes“ 15.45 h Ingo Breuer (Köln): Kleists Höllenphantasien,18.00 h Lezione Serale (in lingua tedesca): „Nur was nicht aufhört weh zu tun, bleibt im Gedächtnis“ – Kleists Aktualität. Martin Mosebach, Klaus Bergdolt und Günter Blamberger im Gespräch 26 ottobre - 10.00 h Günter Blamberger (Köln): „Cur der Geister“ oder das Unzeitgemäße an Kleist 10.45 h Rudolf Drux (Köln): „Anmut“ durch „mechanische Kräfte“ - Kleist, die Marionette und die Schauspiel-kunst des avangardistischen Theaters 11.30 h Pausa caffè/Kaffeepause 11.45 h Paolo Puppa (Venezia): Tra “La brocca rotta“ e “Anfitrione“: il gioco dei doppi.

giovedì 20 ottobre 2011

I dettagli


Quando scrivi o parli di qualcosa non dimenticarti i dettagli, ma non esagerare, potresti perdere il filo del discorso. Dettagli q.b., quanto basta, come in cucina il sale. Non ci sono quantità da rispettare, forse una misura indefinibile che con una certa abitudine alla lettura si può cercare. In uno dei passaggi più interessanti del suo ultimo saggio James Wood cita Flaubert che in una lettera del 1852 scrive: "L'autore dev'essere nella sua opera come Dio nell'universo; presente dovunque e non visibile in nessun luogo. Dato che l'arte è una seconda natura, il creatore di questa natura deve operare in modo analogo al creatore della prima: bisogna che in tutti gli atomi, in tutti gli aspetti di essa si senta un'impassibilità ascosa e infinita. L'effetto, per lo spettatore, dev'essere una specie di sbalordimento. Deve dire: com'è stato fatto tutto ciò?." Un risultato che Flaubert ottiene anche attraverso l'uso sapiente dei dettagli, per esempio nell'Educazione sentimentale descrive così un angolo di Parigi: "Risaliva a caso il Quartiere Latino, così affollato di solito, ma deserto in quella stagione, perché gli studenti erano partiti per le loro case. Le grandi muraglie dei collegi, quasi ingrandite dal silenzio, avevano un aspetto ancora più tetro. Si avvertiva ogni sorta di rumori tranquilli, battiti d'ali nelle gabbie, il ronzio di un tornio, il martello di un ciabattino; e i rigattieri ambulanti, in mezzo alla strada, scrutavano ogni finestra inutilmente. In fondo ai caffè solitari, la donna alla cassa sbadigliava in mezzo alle sue caraffe piene; i giornali rimanevano in ordine sui tavoli delle sale di lettura; nei laboratori delle stiratrici, la biancheria frusciava al soffio del vento tiepido."
Spiega James Wood: "A questo fine Flaubert perfezionò una tecnica essenziale alla narrazione realistica: la confusione del dettaglio abituale con il dettaglio dinamico. In quella via di Parigi, è ovvio le donne non possono sbadigliare esattamente per tutto il tempo in cui la biancheria fruscia o i giornali giacciono sui tavoli. I dettagli di Flaubert sono, nei suoi spartiti, indicazioni di tempi diversi, alcuni istantanei e altri ricorrenti, ma sono uniformati come se si presentassero tutti contemporaneamente.
L'effetto è una bellissima, artificiale verosimiglianza. Flaubert riesce a suggerire che questi dettagli sono in qualche modo, a un tempo, importanti e insignificanti: importanti perché sono stati notati e messi nero su bianco da lui, e insignificanti perché sono raggruppati insieme alla rinfusa, visti come di sfuggita; sembrano venirci incontro "come la vita". Da questa sorgente scorre gran parte della prosa narrativa moderna, per esempio il reportage di guerra. Il giallista e il reporter di guerra non fanno che portare ancora più all'estremo il contrasto fra dettagli importanti e insignificanti convertendolo in una tensione fra il terribile e l'ordinario: un soldato muore mentre, vicino a lui, un bambino va a scuola."

sabato 15 ottobre 2011

Brioche

Per Amedeo Perfetti la colazione ideale era composta da un latte macchiato e da una brioche fresca. Un’utopia durante le sue vacanze al mare. Il primo giorno la coppia di amici che alloggiava in un albergo a tre stelle con piscina lo invitò a colazione. Nella sala l’atmosfera era distinta, il buffet libero. Fra marmellate mignon, yogurt magro e ai frutti di bosco, fette di pane nero, panini, corn flakes di cinque tipi e succo d’arancia, intravide il vassoio delle brioche. Ne afferrò una e in attesa del latte macchiato l’assaggiò. Era fresca ma non sapeva di nulla. Arrivarono i bricchi del latte e del caffè. Il latte era a lunga conservazione, il caffè una brodaglia. Il secondo giorno, dopo una nuotata in piscina, raggiunse il bar lungo la spiaggia per una colazione vista mare: niente brioche solo merendine in confezioni di plastica. Il terzo e il quarto giorno non andò meglio, le brioche nei bar erano surgelate. Lo capiva subito perché lungo l’orlo del primo morso si formava una cortina bianca. E poi la densità della pasta: sembrava di masticare gomma americana. Ovunque brioche surgelate Il quinto giorno cercò una buona pasticceria. Nella vetrina della pasticceria Park Avenue lo attendevano francesine, bignè, crostatine e ...brioche, ma, perbacco, surgelate. La malinconia lo invase e ripiegò su un krapfen farcito alla crema. Il latte macchiato sul tavolino in metallo con tovaglia in plastica blu era impeccabile: né troppo caldo, né troppo freddo, il latte era fresco, il caffè arabica cento per cento. Ma il krapfen era unto come una bruschetta e l’amaro in gola non lo abbandonò fino a sera. Il sesto giorno un’illuminazione: la colazione itinerante. Al panificio la fragranza del pane appena sfornato lo inebriò ma non trovò la desiderata brioche e ripiegò su un Krantz: pasta sfoglia, uvetta e canditi. Mangiò camminando e si presentò al bar: il giovane cameriere preparò un latte macchiato tiepido, quasi freddo. Finito di berlo gli sembrò di non aver ingoiato nulla. Rimanevano ancora tre giorni di vacanza. Amedeo Perfetti pensò: “Acquisterò una moka, passerò dal panificio per il Krantz e il latte fresco, e farò colazione a casa. Sì lo so, non ci siamo ancora, perché il Krantz non è una brioche, perché il latte scaldato in pentola non ha la schiuma - ecco un dettaglio importante: il dito di schiuma spolverato di cacao è una caratteristica fondamentale del buon latte macchiato - perché il caffè della macchinetta non avrà mai il sapore dell’espresso al bar. Va bene, mi adatterò, in fondo la realtà è sempre diversa da come vorremmo che fosse.”

giovedì 13 ottobre 2011

Zecchinetta

Cinque di denari, donna, asso di spade. I giocatori sono quattro e stanno giocando a zecchinetta. Ricevono le carte scoperte e ognuno di loro punta sulla propria carta. La zecchinetta è un gioco veloce, ti giochi tutto in poco, molto in un secondo, la vita in un gesto. Anche la vita in fondo è così, cambia in un attimo e ci vuole fortuna, tanta fortuna. Attorno al tavolo ci sono dei signori che guardano e fumano. Loro non rischiano niente. Sul tavolo ci sono una montagna di soldi. Il giocatore che ha il cinque di denari punta punta più di quel che ha, ha i brividi e rischia moltissimo. Non è ancora un uomo, ma si dà già arie da grande. Dovrebbe essere a scuola in questo momento. Nella tasca dei pantaloni ha una coltello a serramanico, perché con certa gente non si sa mai come va a finire.

lunedì 10 ottobre 2011

Il grande mare

L'oceano, il grande mare che secondo gli antichi segnava la fine del mondo conosciuto, lo immaginava con onde altissime e schiumanti, e forse con una barca in balia della tempesta, imprevedibile come nei romanzi. Possente e sospinto dal vento. Compagno di spiagge attraversate da tori e cavalli. Il vento gli sferzava il viso, l'aria era rovente come brace, e resa pungente: la sabbia trasportata a gran velocità dal vento gli pizzicava il viso. Ascoltava le onde che arrivavano da lontano, un punto in mezzo all'oceano là fuori. Il riverbero del sole era un'immensa distesa d'argento. La sfera rossa si adagiò sull'orizzonte, placida e immobile. Se andò lasciando il cielo colorato e le nubi come grandi falangi.

domenica 9 ottobre 2011

Principia Philosophiae

Cartesio scrive a Picot che traduceva in francese i Principia Philosophiae: "Ainsi toute la Philosophie est comme un arbre, dont les racines sont la Métaphysique, le tronc est la Physique, et le branches qui sortent de ce tronc sont toutes le autres sciences ..." (Opera, ed. Adam e Tannery, vol. IX, p. 14).*
Per restare a questa immagine, domandiamo:
In quale terreno le radici dell'albero della filosofia trovano il loro sostegno? Da quale fondo le radici, e con loro l'intero albero, ricevono forza e linfa nutritiva? Quale elemento, nascosto nel fondo del terreno, compenetra le radici che sostengono e nutrono l'albero? Dove riposa e da dove scaturisce l'essenza della metafisica? Che cos'è la metafisica vista dal suo fondamento? Insomma, che cos'è in fondo la metafisica?
* R. Descartes, Oeuvres, a cura di Charles Adam e Paul Tannery, 13 voll., Cerf, Paris, 1897-1913.
(M. Heidegger, introduzione a Che cos'è Metafisica (1949), ed. Adelphi)

venerdì 7 ottobre 2011

Steve Jobs e l'ozio

Nel suo discorso più famoso, quello tenuto all'Università di Stanford nel 2005, Steve Jobs, a cui un anno prima era stato diagnosticato il cancro al pancreas, diceva, tra le altre cose, ai neolaureati:
"(...)Quando avevo diciassette anni lessi questa citazione: Se vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo un giorno farai centro. Per i successivi trentatré anni ogni mattina quando mi guardavo allo specchio mi domandavo: Se questo fosse l'ultimo della mia vita farei quello che sto facendo?", e ogni volta la risposta era No. Così è stato per troppo tempo. Sapevo che dovevo cambiare qualcosa." "(...) La consapevolezza che potrei morire in poco tempo è lo strumento più importante che io abbia mai conosciuto per fare delle grandi scelte nella vita. Perché quasi tutto - le aspettative, l'orgoglio, la paura di soffrire, di un fallimento - tutte queste cose scompaiono di fronte alla morte. Sapere che un giorno morirete è il miglior modo che io conosca per evitare di restare intrappolati nella paura di avere qualcosa da perdere. Voi siete già nudi. Non c'è ragione perché non seguiate il vostro cuore." "(...) Il vostro tempo è limitato, non sprecatelo per vivere la vita di qualcun altro. Non lasciatevi condizionare da dogmi, cioè non vivete secondo i principi di altri. Non lasciate che il rumore di altre voci soffochi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e le vostre intuizioni: loro in qualche modo già sanno quello che volete veramente diventare. Ogni altra cosa è secondaria." "(...) Nella vita siate affamati, siate folli". Steve Jobs in sintesi dice Cogli l'attimo, Segui la tua strada, Va' do dove ti porta il cuore, perché la vita è breve. Collegati al tuo destino, alla tua realizzazione personale, al tuo sogno. Come schiacciare il tasto di un iPad, di un iPhone, le sue creature, come cliccare su Google, Fb, Twitter, spedire una mail. Va dove ti porta il clic e ci sei, libero di seguire i tuoi itinerari, ipnotizzato, riflesso in uno schermo, come Narciso. Ma la vita non è un clic, quando vai dove ti porta il cuore c'è una rete di relazioni, di rapporti, di percorsi, di tempi, di rinunce, di circostanze, lungo la tua strada. La vita è più complessa e molto più bella di uno slogan. Hanno paragonato Steve Jobs a Leonardo, e certamente è stato un genio, un genio della tecnica. IPhone, iPad hanno cambiato le nostre vite, come Internet e il resto. Al punto che il filosofo Maurizio Ferraris ha scritto il libro Anima e iPad e ha tenuto un'interessante conferenza, che si può ascoltare sul sito giovediscienza in cui sostiene che l'una e l'altra sono tabulae rasae su cui inscriviamo, registriamo, ciò che ci accade, che l’una e l’altra sono parte di noi. Seguire la propria anima, il nostro cuore spirituale, allora è anche accendere un iPad, specchio magico nel quale insieme a noi si riflette il mondo, con le parole, la musica, le immagini che desideriamo. Una parte della nostra vita si svolge e si moltiplica nell'altrove elettronico, incessante attività, puntuale lampeggiare, intermittente succedersi di qui ed ora, di attimi colti e cliccati. Tutto l'opposto di quanto andava scrivendo Schlegel nella Lucinde: "La forma di vita più morale, la più perfetta, è un puro vegetare." E Svevo, nel racconto Una burla riuscita, descrive così Mario Samigli, un romanziere che non riesce a scrivere: "E furono quelli gli anni suoi più felici, così pieni di sogni e privi di qualsiasi faticosa esperienza, una seconda accesa infanzia preferibile persino alla maturità dello scrittore più fortunato che sa vuotarsi sulla carta, più aiutato che impedito dalla parola; e resta poi come una buccia vuota che si crede tuttavia frutto saporito. Poteva restare felice quell'epoca solo finché durava lo sforzo per uscirne; e da parte di Mario, questo sforzo non troppo violento ci fu sempre; per fortuna, egli non trovava l'uscio per cui poter e dover allontanarsi da tanta felicità." Svevo e Schlegel, anime oziose scollegata dall'iPad.

martedì 4 ottobre 2011

Diogene-Sisifo

Rabelais (1483-1553) nel terzo libro del Gargantua e Pantagruele fa rivivere Diogene “che ai tempi suoi filosofo raro e divertente fra mille”. Dopo aver spiegato che, alla vigilia dell’attacco di Corinto da parte di Filippo di Macedonia, in città tutti erano in agitazione e impegnati a far qualcosa, Rabelais scrive: ”Diogene, vedendoli arabbattarsi con tal fervore, e non essendo impiegato dai magistrati a far cosa alcuna, per qualche giorno contemplò il loro movimento senza dir parola; poi, come eccitato da spirito marziale, cinse il suo pallio a bandoliera, si rimboccò le maniche fino ai gomiti, si tirò su la tunica come chi va a coglier pomi, diede in consegna a un suo vecchio compagno la sua bisaccia, i suoi libri e opistografi; si ripulì, fuori della città verso il Craneo (che è una collina ripida di fianco a Corinto), un bel tratto di terreno; vi condusse rotolando la sua botte fittile che gli faceva da casa contro le ingiurie del cielo, e in grande eccitazione di spirito, a braccia tese, la girava, rigirava, rimestava, infangava, strigliava, ribaltava, rovesciava, carezzava, grattava, palpeggiava, sbatteva, impastava, spingeva, frenava, sbatacchiava, ribaltava, tartassava, bagnava, picchiettava, tamburava, stoppava, distoppava, sconnetteva, squassava, martellava, scrollava, lanciava, stuzzicava, la faceva oscillare, le dava la mossa, la levava e lavava, la inchiodava, la impastoiava, la puntava di qua e di là, la strofinava, bloccava, cincischiava, raccoglieva, spruzzava, la metteva in alto, affustava, legava, sbarrava, lisciava, impeciava, impiastricciava, tastava, la faceva giocherellare, la ruzzolava, atterrava, tagliuzzava, piallava, rivoltava, incantava, armava e alabardava, bardava, impennacchiava, rinforzava e la faceva correr giù da monte a valle, precipitandola dal Craneo, e poi da valle la riportava a monte, come Sisifo col suo pietrone; e poco mancò che non la mettesse a pezzi. Onde uno dei suoi amici, vedendo questo maneggio, gli domandò per qual causa mai si prendesse tanto affanno, lui, il suo corpo e la sua botte. Cui rispose il filosofo che, non essendo egli adibito a nessun altro ufficio a vantaggio del pubbico, tempestava così con la sua botte per non trovarsi, fra tutto il popolo così agitato e occupato, lui solo inoperoso ed ozioso.”

sabato 1 ottobre 2011

Settanta acrilico

Premiati tutti e due, ma uno forse per sbaglio. Non tutti i bastardi sono di Vienna (ed Sellerio) è il titolo del romanzo di Andrea Molesini. Brutto il titolo, trascurato l'uso degli aggettivi tedesco e austriaco, pedante l'uso delle espressioni dialettali, banale la trama. Sorprendente, invece, Viola di Grado con il suo Settanta acrilico, trenta lana (ed e/o), alle volte un po' ripetitivo, altre un po' dark, ma sferzante e creativo nelle metafore: ...l'inverno è cominciato da così tanto tempo che nessuno è abbastanza vecchio da aver visto cosa c'era prima...una museruola di gelo mi bloccava la mascella ... lo spettacolo osceno di un tramonto, la testa rossa del sole scendeva a leccar le creste nere degli alberi...le case mute e tutte uguali sembravano il set di un film a basso budget, e i campanili unghie nere contro il cielo.
Viola Di Grado riesce anche a far parlare gli sguardi: Lei mi disse lo sguardo chiamato Camminare fino a lì davvero ce la fai? Io risposi quello chiamato Stai tranquilla penso a tutto io.